La palestra neonazista che ha trovato posto in un ex lager tedesco

Artikel über den Neonazi-Treffpunkt in der Kamenzer Str., Übersetzung mit DeepL darunter.

Quelle: https://www.lindipendente.online/2024/04/08/la-palestra-neonazista-che-ha-trovato-posto-in-un-ex-lager-tedesco/


La Germania ha indubbiamente problemi col suo passato. Può capitare infatti di andare a visitare, nel Giorno della Memoria, alcuni piccoli campi di concentramento nazisti sparsi e spesso sconosciuti intorno a una città dell’est del Paese, Lipsia in Sassonia e, dopo aver incontrato lungo la strada, steli di metallo con incisi i nomi degli internati, baracche dei vecchi lager, sparse in mezzo ai capannoni industriali, cimiteri di soldati, russi, polacchi, lituani e persino qualche tomba di italiani (il cimitero Ostfriedhof), ci si imbatta in uno di questi luoghi della memoria, nella Kamenzer strasse al numero civico 12 e scoprire che in quel posto non ci si può avvicinare più di tanto “perché all’interno c’è una palestra di neonazisti”. Superato lo sgomento iniziale, si scopre che infatti in uno di questi campi di concentramento (sotto-campi venivano chiamati), lo Hasag-Leipzig, da più di una decina di anni si svolgono attività di arti marziali ma anche concerti di band neonazi e attività varie, gestite da gruppi di estrema destra. Un vero e proprio corto circuito mentale.

Il mistero è presto spiegato: questo sotto-campo, conosciuto appunto come Hasag (sigla che sta Hugo Schneider AG che produceva bazooka per l’esercito nazista), aperto nel 1944 e che ospitò 5mila donne internate, dopo la riunificazione della Germania, successiva alla caduta del Muro di Berlino nell’89, fu uno dei tanti luoghi della memoria, come dire “dimenticati”. Nella struttura, fatta saltare in aria in parte dai sovietici al tempo della liberazione, successivamente, in una parte di quel campo, era stata ricavata una fabbrica. Quello poi che ha creato questo “capolavoro” paradossale e grottesco se non fosse tragico è stata la frettolosa svendita di patrimonio immobiliare della ormai defunta DDR. In questo caso ad occuparsi dell’operazione fu la Treuhand Liegenschafts-GmbH, società tedesca che si occupa di vendite immobiliare a scopo commerciale (fu una delle aziende incaricate di mettere sul mercato gli immobili dei “nuovi” Stati federali acquisiti dopo la riunificazione) che nel 2007 vendette il sotto-campo di Kamenzer Strasse a un privato, un noto esponente di estrema destra tedesco, Ludwig K. (che curiosamente si fa chiamare “il Principe di Prussia”). Il signor K. l’ha poi affittato ad attivisti e gruppi neonazisti che vi hanno poi aperto una palestra di arti marziali, la “Imperial Fight Team”.

E così, per una buona quindicina di anni, quel luogo che aveva conosciuto le sofferenze di migliaia di donne recluse dall’esercito nazista, era stato riempito da teste rasate, bracci tesi e bandiere con la svastica, scoperte durante un controllo della polizia nel 2018. Attivisti, politici di sinistra, storici e antifascisti hanno provato a sollevare la questione ma fino ad ora è accaduto poco. O meglio, nel tempo la “Imperial Fight Club”, per il clamore suscitato, spostò la sua sede in un’altra parte della città, ma venne sostituita da un altro gruppo dello stesso orientamento politico che aprì un’altra palestra, la “Sin City Boxe Gym” (che comunque sembra abbia traslocato anch’essa). I frequentatori sia dell’una che dell’altra associazione, sono noti per aver partecipato, ad esempio a raid contro antifascisti (come ad esempio nel quartiere “rosso” di Lipsia, Connewitz nel 2016) e aver picchiato lavoratori stranieri. Non mancano le connivenze con la politica locale, come quella con un noto consigliere comunale di estrema destra, Benjamin Brinsa.

Jacqueline Ulbricht, storica del Memoriale dei lavori forzati di Lipsia, in un’intervista allo Spiegel sulla surreale vicenda del campo di concentramento in mano ai neonazisti, alla domanda su come sia stato possibile immettere sul mercato immobiliare un luogo della memoria come quello di Kamenzer strasse 12, spiega il senso di frustrazione delle autorità e della società civile: “il fatto è che per molto tempo non si è saputo più nulla di questo luogo e la conoscenza della sua storia è andata un po’ perduta. Ciò è probabilmente dovuto anche al fatto che nella DDR negli anni ’70 fu eretta una lapide commemorativa per le donne imprigionate nel sottocampo del campo di concentramento – ma non dove furono tenute prigioniere, ma un po’ più a sud, presso la sede della compagnia d’armi HASAG. L’ubicazione effettiva del sottocampo, dove negli anni ’50 fu costruita una grande fabbrica, fu dimenticata”. Si è tentato di farlo riconoscere come monumento ma secondo l’ufficio statale preposto “l’edificio era stato notevolmente modificato dopo la guerra e non era degno di un monumento” e dal governo avevano risposto che “l’aspetto esterno da solo non mostra il livello necessario di originalità e autenticità”. Il proprietario attuale, il “Principe di Prussia” si era detto disposto a venderlo ma a una cifra intorno ai 10 milioni di euro, un valore, si dice, molto sovrastimato. “E in ogni caso non abbiamo alcuna intenzione di dare soldi pubblici a un neonazista”, hanno fatto sapere in coro gli attivisti. La struttura, dove al momento non è chiaro se si volgono ancora attività dopo il trasferimento delle vecchie associazioni di estrema destra, rimane comunque in mano a lui.

La Germania peraltro è anche il Paese dove, nonostante l’aumento delle attività di gruppi neonazisti, è anche il luogo dove è storicamente radicato il sentimento di vicinanza con gli ebrei: è proprio qui infatti che è nato il movimento antifascista degli “Anti-deutsch”, molto vicino allo Stato di Israele (pur essendo un movimento extra-parlamentare e fortemente antagonista) e fortemente contrario alla causa palestinese. Una specie di doppio corto circuito, in una terra dove un campo di concentramento viene venduto a un neonazista. Ma non è soltanto questo: secondo un’interrogazione parlamentare della deputata di Die Linke, sarebbero oltre 210, in tutta la Germania, gli immobili in mano a diverse sigle o proprietari legati a gruppi neonazisti. Compreso il sotto-campo di Kamenzer strasse 12 a Lipsia.

[di Giancarlo Castelli]

Die Neonazi-Turnhalle in einem ehemaligen deutschen Lagerhaus

von Giancarlo Castelli

Deutschland hat zweifelsohne Probleme mit seiner Vergangenheit. So kann es passieren, dass man am Volkstrauertag einige kleine Konzentrationslager der Nazis besucht, die verstreut und oft unbekannt in einer Stadt im Osten des Landes, Leipzig in Sachsen, liegen, und nachdem man auf dem Weg auf Metallstelen mit den Namen der Internierten gestoßen ist, auf Baracken der alten Lager, die inmitten von Industriehallen verstreut sind, Soldatenfriedhöfe, Russen, Polen, Litauer und sogar einige Gräber von Italienern (Ostfriedhof), stößt man auf einen dieser Erinnerungsorte in der Kamenzer Straße Nummer 12 und stellt fest, dass man sich diesem Ort nicht nähern kann, „weil sich dort eine neonazistische Sporthalle befindet“.

Nachdem man die anfängliche Bestürzung überwunden hat, stellt man fest, dass in einem dieser Konzentrationslager (Nebenlager wurden sie genannt), dem Hasag-Leipzig, seit mehr als einem Jahrzehnt Kampfsportaktivitäten stattfinden, ebenso wie Konzerte von Neonazi-Bands und verschiedene Aktivitäten rechtsextremer Gruppen. Ein echter geistiger Kurzschluss.

Das Geheimnis ist schnell gelüftet: Dieses Außenlager, bekannt als Hasag (was für die Hugo Schneider AG steht, die Panzerfäuste für die Nazi-Armee herstellte), wurde 1944 eröffnet und beherbergte 5.000 weibliche Internierte. Nach der Wiedervereinigung Deutschlands, nach dem Fall der Berliner Mauer ’89, war es einer der vielen „vergessenen“ Erinnerungsorte. In dem Gebäude, das bei der Befreiung von den Sowjets teilweise gesprengt wurde, wurde später in einem Teil dieses Lagers eine Fabrik errichtet. Was dann zu diesem paradoxen und grotesken, wenn nicht gar tragischen „Meisterwerk“ führte, war der überstürzte Verkauf des Immobilienvermögens der untergegangenen DDR.

In diesem Fall war es die Treuhand Liegenschafts-GmbH, ein deutsches Unternehmen, das sich mit dem Verkauf von Gewerbeimmobilien befasst (es war eines der Unternehmen, die mit der Vermarktung der nach der Wiedervereinigung erworbenen Immobilien der „neuen“ Bundesländer betraut waren), das 2007 das Außenlager Kamenzer Straße an eine Privatperson verkaufte, einen bekannten deutschen Rechtsextremisten, Ludwig K. (der sich selbst kurioserweise „Prinz von Preußen“ nennt). Herr K. vermietete es dann an Aktivisten und Neonazi-Gruppen, die dort ein Kampfsportstudio, das „Imperial Fight Team“, eröffneten.

Und so war dieser Ort, an dem Tausende von Frauen, die von der Nazi-Armee inhaftiert worden waren, leiden mussten, gut fünfzehn Jahre lang mit kahlgeschorenen Köpfen, ausgestreckten Armen und Hakenkreuzfahnen gefüllt, die 2018 bei einer Polizeikontrolle entdeckt wurden. Aktivisten, linke Politiker, Historiker und Antifaschisten haben versucht, das Thema zur Sprache zu bringen, aber bisher ist wenig passiert.

Vielmehr zog der „Imperial Fight Club“ aufgrund des Aufruhrs, den er verursachte, mit der Zeit in einen anderen Teil der Stadt um, wurde aber durch eine andere Gruppe mit derselben politischen Ausrichtung ersetzt, die ein weiteres Fitnessstudio, das „Sin City Boxing Gym“, eröffnete (das allerdings ebenfalls umgezogen zu sein scheint). Die Mitglieder beider Vereine sind dafür bekannt, dass sie sich an Überfällen auf Antifaschisten beteiligt haben (wie 2016 im „roten“ Leipziger Stadtteil Connewitz) und ausländische Arbeitnehmer zusammengeschlagen haben. An Verflechtungen mit der lokalen Politik, etwa mit dem bekannten rechtsextremen Stadtrat Benjamin Brinsa, mangelt es nicht.

Jacqueline Ulbricht, Historikerin der Leipziger Zwangsarbeitergedenkstätte, erklärt in einem Spiegel-Interview zur surrealen Geschichte des Konzentrationslagers in den Händen der Neonazis auf die Frage, wie es möglich war, eine Gedenkstätte wie die Kamenzer Straße 12 auf den Immobilienmarkt zu bringen, die Frustration der Behörden und der Zivilgesellschaft:

„Tatsache ist, dass lange Zeit nichts mehr über diesen Ort bekannt war und das Wissen um seine Geschichte etwas verloren ging. Das liegt wohl auch daran, dass in der DDR in den 1970er Jahren eine Gedenktafel für die im KZ-Außenlager inhaftierten Frauen errichtet wurde – allerdings nicht dort, wo sie gefangen gehalten wurden, sondern etwas weiter südlich, am Sitz der Waffenfirma HASAG. Der eigentliche Standort des KZ-Außenlagers, wo in den 1950er Jahren eine große Fabrik errichtet wurde, geriet in Vergessenheit.

Es wurde versucht, es als Denkmal anerkennen zu lassen, aber nach Angaben des zuständigen Landesamtes „wurde das Gebäude nach dem Krieg erheblich verändert und ist nicht denkmalwürdig“, und die Regierung antwortete, dass „das Äußere allein nicht das erforderliche Maß an Originalität und Authentizität aufweist“. Der derzeitige Eigentümer, der „Prinz von Preußen“, hatte sich bereit erklärt, das Gebäude zu verkaufen, allerdings zu einem Preis von rund 10 Millionen Euro, der als stark überhöht gilt. Und wir haben auf keinen Fall die Absicht, einem Neonazi öffentliches Geld zu geben“, ließen die Aktivisten im Chor verlauten. Das Gebäude, in dem derzeit unklar ist, ob nach dem Umzug der alten rechtsextremen Vereine noch Aktivitäten stattfinden, bleibt in seiner Hand.

Deutschland ist im Übrigen auch das Land, in dem trotz der zunehmenden Aktivitäten neonazistischer Gruppen das Gefühl der Verbundenheit mit den Juden historisch verwurzelt ist: Hier wurde nämlich die antifaschistische Bewegung der „Antideutschen“ geboren, die dem Staat Israel sehr nahe steht (obwohl sie eine außerparlamentarische und stark antagonistische Bewegung ist) und die die palästinensische Sache entschieden ablehnt.

Eine Art doppelter Kurzschluss, in einem Land, in dem ein Konzentrationslager an einen Neonazi verkauft wird. Aber nicht nur das: Laut einer parlamentarischen Anfrage des Abgeordneten der Partei Die Linke befinden sich in ganz Deutschland mehr als 210 Immobilien in den Händen von verschiedenen Abkürzungen oder Eigentümern, die mit Neonazi-Gruppen verbunden sind. Darunter auch das Außenlager in der Kamenzer Straße 12 in Leipzig.